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È possibile essere buoni con gli altri ed essere buoni con se stessi allo stesso tempo? È solo uno dei tanti interrogativi dell’intrigante parabola scenica “L’anima buona di Sezuan “ di Bertol Brecht, nuova produzione della contrada in scena al Teatro Bobbio di Trieste sino al 15 gennaio.
A portarlo in scena Monica Guerritore, impareggiabile protagonista femminile nei panni di Shen Te e del suo alter ego Shui Ta. La Guerritore cura anche la regia dello spettacolo che riprende attualizzandolo l’allestimento, con piattaforma girevole, di Giorgio Strehler del 1981. Riprende anche i giochi d’acqua e gli effetti luci che indicano e commentano il dilemma della protagonista: possono ancora i buoni esistere su questa terra? E se si come?
Attorno a Shen Te si muove anche l’insieme dei personaggi brechtiani, egoisti, opportunisti e affamati, metafore ed esempi dei vizi del nostro reale, tentazioni del nostro capitalismo impazzito, cosi lucidamente preconizzato da Brecht e dal suo teatro di impegno politico.
Nell’attualizzazione del testo scritto alla fine degli Anni ‘30 molto è stato ridotto, ad esempio le canzoni che accompagnavano il testo. Rimane sapientemente intatta la forza comunicativa del teatro di Brecht e Strehler uniti dall’impegno civile. C’è ancora la denuncia del dramma della povertà, dell’avidità dell’animo umano, della disperazione esistenziale. “Per mettere a tavola il cibo ci vuole il ghigno feroce di in lupo” dirà ad un certo punto Shen Te ma è proprio così? È soprattutto il tema del difficile e mai banale rapporto tra gli opposti che la Guerritore mette in luce attraversa l’opera di Brecht ed è certamente un tema fortunato nella letteratura tra ‘800 e ‘900. Malgrado la crudeltà degli eventi, che l’autore dipana tra toni comici e grotteschi, mostra che la “dolcezza” può avere ragione del cinismo e della non-violenza, e proprio in quest’ultimo senso sta la ragione profonda e dunque l’attualità del testo. La grazia e la gentilezza di un personaggio apparentemente anacronistico come Shen Te continuano infatti a interrogare le coscienze in un mondo dominato dalla violenza e dalla prepotenza e a cogliere la fragilità dell’amore come amava sottolineare Strehler. Il tutto sigillato, nel finale, dalla voce di Strehler che richiama tutti a un imperativo morale. In fin dei conti questa nuova produzione della Contrada è anche un atto di amore nei suoi confronti.
Scritto da: Monica Ferri
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