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Diretta Damilano - Enrico Torlo igor Damilano
Un insolito, quanto affascinante dittico, capolavori del teatro musicale, sorprende il pubblico e chiude la stagione del Teatro Verdi di Trieste. Una programmazione intelligente e coraggiosa con cui la Fondazione mette insieme due chicche del genere del ‘900 per un operazione culturale d’eccellenza che incassa consensi e applausi calorosi.
Entriamo in scena con la mezzosoprano Isabel De Paoli. Qui l’intervista:
Equilibrata e rarefatta, giocata sui toni del chiaroscuro, è la proposta registica ideate da Giorgio Bongiovanni per l’allestimento spoletino del ‘22, unico precedente de La Porta Divisoria. Per l’unico libretto, d’opera firmato da Giorgio Strehler – che rilegge La Metamorfosi di Kafka in chiave sociologica esplorando la condizione esistenziale della diversità e dell’ incomunicabilità umana – la regia si sofferma sulle ridicole debolezze dell’umanità e, con uno stratagemma scenico, rende concreto l’isolamento del protagonista che diventa anche il nostro.
La sua scelta, accompagnata dalle scene minimaliste di Andrea Stanisci e le luci misurate di Eva Bruno, si integra perfettamente con la ricca partitura espressionistica, dal linguaggio moderno, atonale, timbricamente acceso, di Carpi il famoso compositore delle musiche del Pinocchio televisivo), completata nel quinto quadro da Alessandro Solbiati. Coeso e convincente la prestazione di tutto il cast a partire dal Gregorio di Davide Romeo, chiamato a far gran uso della recitazione intonata con molte inflessioni parlate e una misurata recitazione.
A seguire, dopo l’intervallo, Il castello del Duca Barbablù, un gradito ritorno sul palcoscenico del Verdi, a quarantacinque anni di distanza, con un nuovo allestimento della Fondazione.
Unica prova di teatro musicale di Bela Bartok l’opera in un atto rivisita, grazie al testo in chiave psicologica di Béla Balázs, la celebre favola di Perrault alla luce della versione di Maurice Maeterlinck. L’allestimento in scena firmato dalla visionaria regia di Henning Brockhaus che calca la cifra simbolista del compositore ungherese e, grazie alle videoproiezioni, dona vita al Castello stesso, rendendocelo spigoloso, animato e mutevole, intriso di una presenza sanguinaria e mortifera.
Al centro di questo mondo, questa volta oscuro visionario e truculento, i due protagonisti, gli italianissimi l’imponente baritono Andrea Silvestrelli, perfetto nei panni di un efferato Barbablu, e la splendida mezzosoprano Isabel De Paoli, in quelli della caparbia Judith, hanno reso tutta l’intensità psicologica e il crescente tono drammatico grazie ad una attenta interpretazione del testo ungherese e notevole presenza scenica enfatizzata dal rosso del suo abito. Ottimo il declamato asciutto di Silvestrelli mentre la De Paoli ben interpreta le diverse sfaccettature psicologiche e le timbriche vocali del personaggio femminile. In questo caso completa il cast il bravo Maurizio Zacchigna cui spetta il compito di introdurci nella storia. Di fronte a questa essenzialità di ruoli, la regia di Brockhaus, con scene e costumi di Giancarlo Colis, riempie il palcoscenico con un continuo accompagnamento danzante che, quasi facendo parte di quello spirito mortifero, enfatizza e rende esplicito le azioni dei protagonisti, con le coreografie di Valentina Escobar.
Due opere suggestive per intensità drammatica e affinità artistiche, dirette magistralmente da Marco Angius, uno dei principali protagonisti dei festival di musica contemporanea europei, la cui conduzione esperta e il notevole feeling con l’Orchestra contribuisce al successo della serata.
Si replica sino al 23 giugno.
( foto F. Parenzan)
Scritto da: Monica Ferri
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